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Il sapore della cuntentizza, a Cirò Marina

reading e degustazioni con Carmine Abate 

 di Veronica Otranto Godano | 14 Agosto 2017

Tutto è iniziato con la Frittata mare e monti, quella della nonna, preparata - come si fa di solito da queste parti - per rifocillarsi tra un tuffo e l’altro. Al centro di una lunga tavolata, nel Borgo Saverona di Cirò Marina, Carmine Abate ripercorre le tappe della sua vita raccontando il suo ultimo libro Il banchetto di nozze e altri sapori (Mondadori). Dalla frittata dell’infanzia alla polenta con la nduja, simbolo dell’età adulta e sintesi di un amore coniugale che si fa interprete di culture diverse.

Tradizioni gastronomiche e memorie sono state il fil rouge della cena con l’autore che venerdì 11 agosto si è svolta nella location del XVIII secolo:  cornice perfetta per il reading di Abate, che ha espresso al meglio il suo concetto di convivialità: «Un’inaspettata delizia che fluisce direttamente dal palato al cuore». L’evento, organizzato dal Comitato Promoter per il Club dell’Unesco di Cirò Marina, si inserisce nel tour calabrese dello scrittore, rientrato da un giro nelle università americane. Agli studenti statunitensi ha presentato La felicità dell’attesa (2015): l’esperienza migratoria del nonno nella Merica Bona.

Carmine Abate alle cascate del Marmarico

La magaria rapinosa di Punta Alice

«Era estate, avevo sette anni e stavo trascorrendo  la mia seconda villeggiatura a Cirò Marina»  ricorda Abate, innamorato ancora oggi di Punta Alice, un luogo di una magaria rapinosa. Passava le vacanze in casa della nonna. Oggi la sua frittata è un concentrato dei baci ricevuti allora: «Quel piatto si è annidato nel mio palato e mi ha fa ricordare i suoi gesti». Non è una pietanza qualunque, quella frittata: è la Calabria riprodotta in padella, è Crotone mare e monti, in posizione perfetta tra i due orizzonti. C’è sempre una mimica semplice a connotare i libri dello scrittore calabrese. Anche l’atto di baciare il pane per celebrare il dono, attorno al quale ha costruito il libro Il bacio del Pane (2013).

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La ricetta sottointesa

In un’epoca in cui logorroici contest culinari inneggiano alla velocità tra i fornelli e a complesse elaborazioni tecniche, il banchetto di Carmine Abate è un fermo immagine nel quale cibi saporitosi si gustano con lentezza e segnano il passaggio tra le stagioni dell’esistenza.  Gli ospiti di Borgo Saverona hanno preso posto ai tavoli contrassegnati dai titoli dei suoi libri. E hanno ascoltato con interesse perfino la lettura degli ingredienti. Per la frittata «olio di Pigado, cinque uova delle galline nostre, due cucchiaiate di sardella, un trancio di tonno e qualche fungo sott’olio, una cipolla rossa, un pizzico di pepe e sale». Perché un piatto ha sempre una ricetta sottointesa.

Le mie radici sono a Carfizzi

Quella celata tra gli ingredienti della frittata aiuta ad attenuare i rimpianti: «Servono a poco – spiega Abate - piuttosto bisogna assaporare ogni giorno il meglio della vita, la sua bellezza, la sua libertà». Andare alla scoperta del mondo senza dimenticare le origini. «A un certo punto mi sono chiesto, chi sono io? Sono un po’ del Sud e un po’ del Nord. Ma non mi sono mai sradicato. Le mie radici sono ben salde a Carfizzi, nel territorio arbereshe». Così il narratore spiega la sua identità plurale. Alla cena di Borgo Saverona c’è gente del posto ma anche tanti turisti senza legami con la regione: dimostrano che la concezione d’appartenenza dell’Autore travalica ogni confine e arriva in Giappone, Kosovo, Albania, Germania, Grecia, Portogallo, Olanda. I suoi libri sono tradotti anche in arabo. Abate è cordiale con tutti e sorride a ogni autografo. Scherza con un signore dalla folta chioma: «Sa, ci ho scritto un romanzo sui capelli». Si riferisce a Gli anni veloci (2008)  e alla capigliatura di Lucio Battisti al centro del libro.

A cena con l'Autore a Borgo Saverona, Cirò Marina

Peperoncino per bruciare i microbi della nostalgia

«Mi sono laureato a 21 anni e mezzo e da subito ho iniziato a insegnare. Se fossi rimasto in Calabria, sarei entrato in ruolo l’anno scorso”, dice con un pizzico di sarcasmo. Allude ai limiti atavici di questa regione, alle sue zone d’ombra, alle imperfezioni, ma in fondo spera che oggi i giovani possano scegliere liberamente se partire o restare. «Io sono stato costretto ad andarmene».  Come affrontare la malinconia più subdola? Magari affidandosi a una conserva di peperoncino, in grado di bruciare tutti i «microbi della nostalgia». Non ci sono ferite aperte nelle parole di Carmine Abate, solo la consapevolezza di aver imparato a vivere (e scrivere) sommando mondi diversi.

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Banchetti di nozze e chef d’altri tempi

Traboccano di profumi le pagine de Il banchetto di nozze e altri sapori. Forse nascondono segrete velleità culinarie? Ogni momento conviviale è descritto con dovizia di particolari e d’ingredienti. I cibi sono umanizzati e diventano complici di ogni avventura. Ma in realtà, Abate non sa cucinare e racconta con un po’ di disappunto di quando la mamma non lo faceva avvicinare ai fornelli: la cucina era una cosa da donna. Ma da piccolo sognava di fare proprio come Il cuoco d’Arberia (il richiamo è all'area  dell'Italia meridionale in cui tra il XV ed il XVIII secolo si insediarono numerose comunità di profughi albanesi), come il personaggio di Vivere per addizione (2010) , una figura ancestrale pronta a girare tra i paesi del Crotonese e a organizzare banchetti di nozze.

Anche il fulcro del suo ultimo romanzo è uno chef d’altri tempi. Che fa una sorpresa allo sposo Carmine sostituendo i piatti previsti nel menu della festa. Non porta in tavola le pappardelle al sugo di lepre, ma gli shtrydhelat, una pasta fatta in casa tipica della tradizione culinaria Arbereshe, condita con fagioli bianchi, aglio, olio e peperoncino. Un rimando alla sua infanzia, perché in «quell’antica ricetta tramandata dai polpastrelli delle nonne ai polpastrelli delle mamme», c’è la possibilità reale di un ricongiungimento con la terra natia pure dal Trentino, quella terra a metà strada tra Carfizzi  e la città della moglie tedesca.

Passava le vacanze in casa della nonna.  Oggi la sua frittata è un concentrato dei baci ricevuti: «Quel piatto si è annidato nel mio palato e mi ha fa ricordare i suoi gesti». Non è una pietanza qualunque, quella frittata: è la Calabria riprodotta in padella, è Crotone mare e monti, in posizione perfetta tra i due orizzonti

Il sapore della cuntintizza

Il profumo di fagioli bianchi e di peperoncini freschi penetra nelle narici dei convitati e anche quello di altre specialità della tradizione arbereshe come le acciughe pishksauce, infarinate e fritte, ricoperte con mollica di pane e aromatizzate con menta, aglio e aceto. Il sapore autentico  della cuntentizza che ha invaso i tavoli del borgo cirotano e ha condotto i presenti a sfogliare subito le pagine del libro che è di fatto un dizionario antropologico: alla voce “felicità collettiva” si trova l’espressione “a favorire”, quasi a voler indicare un raddoppiamento della gioia che deriva dalla condivisione gastronomica. “Con il cibo siamo i numeri uno”, dice. E dedica il suo Banchetto di nozze  a Roberto Ceraudo, titolare del rinomato ristorante Dattilo a Strongoli e padre di Caterina, migliore donna chef 2017 e stella Michelin. Che cosa vuol dire? Significa che  sardella e  pipi e patate non convertiranno, di certo, questa zona nell’El Dorado. Tuttavia, i riconoscimenti enogastronomici degli ultimi mesi invitano a fare cose nuove.

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I luoghi di Abate

Tutto (o quasi) nei libri di Abate si svolge ad Hora e dintorni: Hora è Carfizzi (ma anche Crotone, Cirò, Melissa, Strongoli), paradiso e nuvole nere, luogo da cui partire e dove tornare. Emblema di tutta la comunità albanese di cui lo scrittore racconta l’epica quotidiana, utilizzando la lingua delle origini al pari dell’italiano.  Quella minoranza etnolinguistica che dopo 5 secoli di diaspora conserva intatte la cultura e le tradizioni. Da Hora si avvicendano epopee familiari, partono giovani con valigie piene di sogni e tornano padri esuli, il più delle volte emigrati, per permettere ai figli di non partire. Cirò Marina invece fa da sfondo alla saga familiare de La Collina del vento: è il racconto degli Arcuri, una famiglia che riesce a fronteggiare le complicazioni storiche della sua terra. Si percepisce la voglia di riscatto dei personaggi che si difendono strenuamente da nefandezze di ogni tipo: il fascismo, le intimidazioni mafiose, l’installazione delle pale eoliche. Un senso di legalità che  non è una questione teorica.  Mette il dito nelle piaghe della Calabria, ma  sviluppa la fiducia e la spinta propulsiva al cambiamento.

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